martedì 9 febbraio 2016

Spartiti nuovi per la Musica delle Sfere


ATTENZIONE: POST AD ALTO CONTENUTO RELIGIOSO 
NON DITE CHE NON VI HO AVVERTITO 

Sabato scorso ho fatto un giro al Museo di Storia Naturale di Londra. Era qualcosa come dieci anni che che non ci tornavo e l’ho trovato più bello che mai, raddoppiato in dimensioni e fighissimo nell’esposizione. 
E mi ha ricordato, con un’intensità quasi violenta, che disperato bisogno abbia il mondo odierno di una religiosità evoluta. Non parlo di spiritualità, che è sostanzialmente un fenomeno individuale: parlo proprio di senso religioso. 
Credo ci siano state poche epoche nella storia in cui l’essere religiosi in Occidente abbia avuto una pubblicità peggiore che oggi, e la colpa è in ottima parte dei religiosi stessi. Quando qualcosa di inerente alla religione raggiunge gli onori della cronaca (virtuale e non), tre volte su quattro è perché ha a che fare con violenze fisiche o psicologiche, stragi e barbarie, violazioni delle leggi civili, loschi movimenti di denaro o posizioni francamente assurde per qualunque mente adulta e pensante. 
Attenzione, non ce l’ho con nessuna religione in particolare. Se ci pensate un attimo, vedrete che il discorso si applica tristemente a parecchie. 
Le persone di scienza – uso la definizione nel senso più ampio possibile – in questo momento sono terrorizzate come non mai dalla religione, e si precipitano a intervenire in qualunque discorso le sfiori anche solo latamente per far presente che quelle dei religiosi sono tutte solenni stronzate, figlie dell’ignoranza dei millenni passati e ampiamente spazzate via dal sapere di oggi. Dietro c’è una paura ben precisa: quella che, se “la religione prendesse il potere”, sarebbe la fine di tutto. Si fermerebbe la ricerca, andrebbero al rogo le università, si tornerebbe all’oscurantismo più nero dei secoli bui e tutti ricomincerebbero a credere che l’universo sia governato da uno o più enormi uomini invisibili che vivono sopra le nuvole.

Vi sembra un’esagerazione? 
Rifletteteci.

Sull’ipotetico fronte opposto della barricata, ascoltare i teorici del creazionismo o gli avversari della medicina che sostengono la superiorità terapeutica della preghiera mette un certo senso di freddo alle dita. E lasciamo pure da parte i ragionamenti con cui vengono portate avanti queste discussioni, perché da sempre l’imbecillità e l’arroganza sono piante che crescono bene in tutti gli orti, siano religiosi, fondamentalisti, atei, agnostici o quant’altro. 
Ora, non mi sto rivolgendo ai razionalisti di qualsivoglia genere (non ho alcun diritto di parlare per loro, e quando provo a parlare con loro in genere non mi ascoltano): mi sto rivolgendo alle persone di fede, ai religiosi, “categoria” a cui appartengo anch’io. La religione oggi ha un bisogno estremo di evolvere, di crescere alla stessa maniera in cui è cresciuto il nostro mondo mentale. Quella pressione evolutiva che la realtà impone agli esseri viventi, se vogliono sopravvivere e prosperare, la impone anche al nostro rapporto con il trascendente. 
Il punto è che non c’è alcun bisogno che la fede contraddica la ragione e la sensatezza. Se dobbiamo pensare a Dio, o ai tanti Dèi, sul serio non riusciamo a figurarci nulla di diverso dal Grande Uomo Invisibile che passa il suo tempo a tenere registro delle nostre azioni trascrivendole su griglie morali in continuo cambiamento a seconda dei luoghi e delle epoche? A me sembra assurdo, dolorosamente assurdo essere qui a fare discorsi del genere nel 2016, eppure sono consapevole che ce n’è bisogno. Al solito, non è che se lo dico io cambia qualcosa, ma a volte è troppo dura tenersi la lingua tra i denti. 
Amici miei, ragionevoli fratelli, siamo nel Ventunesimo secolo: abbiamo la meccanica quantistica, la teoria delle Stringhe, la storia evolutiva della vita sulla Terra, la cosmologia scientifica e la fisica delle particelle. Non si può fare come se tutto questo non ci fosse. Semplicemente non si può. 
E, quel che è più importante, non si deve.

Vi sta parlando una persona che non solo cerca un rapporto con il Divino nella sua vita, ma che parla con gli Spiriti e usa la magia. Una persona che, diciamocelo, i razionalisti non inviterebbero a bere una birra. 
Ma è la stessa persona che vi ripeterà fino alla nausea che le conquiste della nostra ragione umana sono reali, solide, concrete (e anche piuttosto fiche). Che il Divino e i quark non sono mutualmente esclusivi, anzi è davvero ridicolo pensare che possano esserlo. Che concetti come il creazionismo sono, molto francamente, un insulto al nostro raziocinio. Che irrazionale e irragionevole non sono sinonimi e non lo sono mai stati, non più di quanto lo siano impossibile e improbabile. Che, nei casi estremi, la fede nei miracoli è qualcosa di completamente diverso dal rifiuto di accettare le basilari, comprovate regole dell’universo. 
Dove sta Dio (o i tanti Dèi) in mezzo a tutto questo è una domanda a cui ciascuno deve darsi una risposta da solo. Vale la pena ricordarsi, peraltro, che non c’è nessun bisogno di essere religiosi: si può vivere benissimo – e pure rimanere dignitosi esemplari di essere umano – senza dover credere in alcunché di divino o di trascendente. Ma, se decidete di essere persone religiose, cazzo, fatelo bene!
Io, nel mio piccolo, la mia risposta la inseguo ogni giorno, e mica sempre la raggiungo. Ma quando sento di averla tanto vicina da poterla quasi toccare, ecco, allora per me il Divino nuota nella schiuma dello spaziotempo quantistico e prende il sole alla luce dei quasar. È nel visitare un museo di storia naturale e sentir male in gola davanti alle ossa degli animali estinti dall’uomo, e aver voglia di piangere e chiedere scusa. È nel guardare un modello animato della nostra galassia e pensare che è così bella che non riesci a staccare gli occhi. È nell’ascoltare una canzone e pensare che qualcuno se l’è sentita suonare dentro e l’ha composta sulla carta, eppure ogni suo singolo suono è descrivibile matematicamente, perché la musica è pura matematica istintiva. È nel ricordarmi che i meccanismi che trascinano nel cosmo quel granello di polvere che chiamiamo casa sono gli stessi implacabili, infallibili, commoventi meccanismi che animano le cellule nervose del mio cervello e mi permettono di dire “Io sono”.

Quando sono in buona, gli scienziati oggi amano dire che più scopriamo e più ci rendiamo conto che per ora abbiamo capito ben poco di tutto quel che c’è là fuori. La Musica delle Sfere di Pitagora non è stata inghiottita dal progresso, tutto il contrario: la suonano le particelle subatomiche, la rotazione delle galassie, la vibrazione delle superstringhe. E chissà cos’altro.
La Musica non tace: cresce. 
Diventa grande. 
Sempre più grande.

lunedì 1 febbraio 2016

Gli dèi viventi, puntata 5: La Nera Signora e i suoi cugini meno VIP

È molto probabile che gli dèi e le dee della morte siano tra le prime divinità concepite dalla razza umana. Ma tranquilli, non intendo mettermi a farne l’elenco, perché faremmo l’anno prossimo e perché, se l’argomento vi incuriosisce, trovate facilmente tutte le informazioni di base on line.
Quel che mi interessa, invece, è attirare la vostra attenzione su una particolare categoria di divinità della morte: quelle deputate al trapasso. Non i sovrani del regno dei morti, ma i loro inservienti, gli dèi portinai dell’aldilà e collettori d’anime, che spesso erano identificati con la personificazione della morte stessa (il nome tecnico per queste figure – che forse già conoscete – è psicopompi, che in greco significa semplicemente “guide delle anime” ma che, diciamocelo, a noi oggi fa parecchio ridere...)
 
Thanatos e Hypnos su un famoso vaso conservato al Louvre
A volo d’uccello – ho promesso di non fare elenchi – in Grecia la Morte era Thanatos, che non a caso era fratello di Hypnos, il Sonno (non so a voi, ma a me è sempre sembrata una visione un po’ sterilizzata dell’idea di trapasso, una morte “alla vaniglia”, in linea con i gusti di un mondo violento e al contempo altamente estetico come quello greco classico)*. A Roma, dove la gente si faceva la barba ed era molto meno poetica, la Morte era Orco, dio dalla fame insaziabile che ingoiava ogni cosa (ve le ricordate le malae tenebrae Orci di Catullo? su dài, che le avete fatte al liceo!), tanto da dare origine, più tardi, a un altro ben noto mostro affamato di carne umana: l’orco delle fiabe**. In Egitto accogliere le anime – nonché sovrintendere all’impacchettamento dei corpi – era il mestiere di Anubi, mentre nel mondo nordico a portarsi via i guerrieri caduti in battaglia, quando non lo faceva direttamente Odino (ma era una caso raro), provvedevano le valchirie, che comunque facevano le difficili e sceglievano per il Valhalla solo i morti più valorosi. Persino i grandi monoteismi hanno i loro Angeli della Morte: date un’occhiata on line e ne troverete un bel po’. 
Il vever (rappresentazione simbolica) di papa Ghede,
dai connotati abbastanza inequivocabili
Se poi usciamo dalle culture europee, la nostra idea degli dèi psicopompi si fa parecchio più nebulosa (e non citatemi gli Shinigami giapponesi, li conoscete solo perché li avete visti in Death Note). A conti fatti, l’unico dio della morte non europeo veramente famoso in Occidente è il loa Ghede, il sovrano dei morti del Vudu, e anche lui è noto quasi esclusivamente per uno solo dei suoi molti aspetti – che a casa sua non è nemmeno il più importante – ripreso da un numero incalcolabile di romanzi, film, telefilm e fumetti: quello di Baron Samedi, il Signore dei Cimiteri che regna sugli spettri e riporta in vita gli zombi. 

E questo – mooolto sommariamente – è il passato (per quanto il Vudu sia una religione viva, anche se forse ancora per poco...) 
Ma il presente? Ho già parlato più volte della propensione del paganesimo contemporaneo e della nostra epoca in generale a dare vita a nuovi dèi, adattati al tempo presente. Sul fronte delle divinità della morte, che cosa offre il menù?
Nel folclore bretone lo Spirito della Morte è l'Ankou,
che ha palesemente i tratti del Tristo Mietitore
Prima di rispondere vorrei fare un passettino di lato, e parlare dell’iconografia prima che della religione vera e propria. In genere, se chiedete a un occidentale di oggi di immaginare la Morte, con ogni probabilità vi tirerà fuori lo scheletro col cappuccio e la falce. Chiaro, è un’immagine universalmente diffusa, ma non è per niente nuova. A dirla tutta le sue versioni più antiche risalgono al Quattordicesimo secolo, e sono direttamente collegate alle grandi epidemie di peste che colpirono l’Europa in quel periodo. La Morte personificata appariva nell’arte già molto prima di allora, è ovvio, ma con aspetti diversi: giusto per fare un esempio, non impugnava una falce, ma di solito una spada o più raramente un arco. Quell’inquietante attrezzo agricolo gli artisti medievali glielo misero in mano solo dopo averla vista “mietere” intere generazioni in un colpo solo. In altre parole, la spada va bene per i duelli: la falce è un’arma di distruzione di massa. 
Per farla breve l’icona del Tristo Mietitore ebbe un gran successo – gli esperti di marketing di oggi avrebbero applaudito – e comiciò a sbucare ovunque: si inventò un modello pittorico nuovo, le Danze Macabre, apposta per mettercelo come protagonista, fu messo in musica nella ballate, finì tra le carte dei Tarocchi e si conquistò un posto eterno nelle storielle popolari, e tutto questo ben prima di apparire in un celeberrimo film di Ingmar Bergman, di risorgere in Messico come la Santa Muerte o di diventare uno dei personaggi più amati del Mondo Disco di Terry Pratchett
Danza Macabra nell'Oratorio dei Disciplinati di Clusone
La modernità ha fatto ben poco per variare questa immagine, che, come si diceva, è popolarissima ancora oggi: il massimo dell’attualizzazione consiste nel vestirla ogni tanto da becchino (il principale riferimento nerd del momento credo sia la Morte di Supernatural) o nel darle l’aspetto di una ragazza goth (Death , la sorella di Sandman nell'omonimo fumetto di Neil Gaiman è il caso più famoso e potrebbe anche essere cronologicamente il primo, non ho mai fatto ricerche in merito). E si tratta comunque di eventi occasionali.

E veniamo quindi alla religiosità pagana odierna, dove gli dèi della morte... non ci sono.
Non sto scherzando. Vi basterà una breve ricerca per rendevi conto che nel paganesimo contemporaneo pochi argomenti sono trascurati quanto quello del trapasso. Considerate anche solo che la più diffusa religione pagana moderna, la Wicca, non ha un cerimoniale funebre. Chiaro che, fintanto che si parla di forme di religiosità volutamente prive di una struttura centralizzata o del concetto stesso di ortodossia, nessuno pretende che esistano liturgie diffuse e accettate ovunque. Ciononostante molti rituali sono praticati dagli wiccani di tutto il mondo o quasi e, pur in tutte le loro varianti, sono sempre riconoscibili. In mezzo a tutto ciò, non c’è nulla che somigli a una ritualità diffusa della morte: ogni singolo gruppo di fedeli la gestisce a modo suo, attuando le cerimone che gli sembrano più appropriate (di solito incentrate sul concetto pagano di morte e rinascita, in una forma o in un’altra) e soprattutto invocando gli dèi che preferisce, rigorosamente scelti tra quelli degli antichi pantheon. 
Anubi superstar
Anche al di fuori della Wicca, un po’ di ricerche mi hanno mostrato che tra i pagani moderni gli dèi funerari più gettonati sono sostanzialmente quelli dell’antico Egitto, in specifico Osiride (che si accorda molto bene al concetto di morte e rinascita che ho citato) e Anubi (che secondo me piace soprattutto perché un dio alto e nero con la testa di sciacallo è fico a prescindere). Ma, a parte alcuni casi ben circostanziati, restano due fatti sui pagani moderni: 
1) hanno pochissima voglia di pensare al trapasso 
2) di fatto non hanno attualizzato in alcun modo gli dèi della morte
 


Perché? 
Io un’idea ce l’ho. Pensate ancora una volta al “solito” Tristo Mietitore: la sua icona è nata in un momento storico ben preciso, che ha coinciso con un cambiamento vasto e radicale dell’idea stessa di morte. Dalle morie immense, improvvise, inarrestabili del basso medioevo è sorta l’idea della Morte falciatrice d’uomini, dello scheletro incappucciato sterminatiore di moltitudini.
Il mio punto è che l’immagine della Morte personificata – e per traslato l’idea delle figure divine associate alla morte – cambia solo quando a cambiare è il concetto di morte all’interno di una data società. E l’idea sociale della morte è certamente molto cambiata rispetto anche solo a pochi secoli fa, in una direzione ben precisa: la rimozione. 
Death di Gaiman, una Morte moderna
e tutt'altro che spaventosa
La morte è senza il minimo dubbio uno dei maggiori rimossi della mentalità moderna (non sono io a sostenerlo). In linea teorica siamo tutti d’accordo che morire è una cosa che può accadere all’improvviso a chiunque, inclusi noi stessi e le persone che ci sono vicine, ma all’atto pratico non è affatto così. In Occidente oggi nessuno è abituato a veder morire spesso le persone attorno a sé, a meno che non svolga qualche specifica professione a stretto contatto col decesso (a me su due piedi vengono in mente solo i medici – e nemmeno tutti – e gli impresari di pompe funebri). E non devo chiaramente spiegare a nessuno che prima della medicina moderna, dei sistemi di welfare e di altri cambiamenti della nostra società le cose andavano in maniera un tantino diversa. Vivere più a lungo e vivere meglio ha avuto una conseguenza piuttosto evidente su di noi: oggi, nella maggior parte dei casi, viviamo come se la morte non esistesse. 
In sintesi – perché siamo in chiusura e vi ho già annoiato abbastanza – è mia convinzione che la mentalità pagana contemporanea, pur tanto pronta a plasmare nuove divinità o a fare restyling a quelle un po’ demodé, non abbia creato nuovi dèi della morte perché la declinazione moderna del concetto di decesso gliene ha già consegnato uno perfetto per la nostra epoca: il Dio Assente (il cui posto di lavoro, quando proprio ce n’è bisogno, può tranquillamente essere occupato da qualche vecchio collega con millenni di esperienza). 
Non so a voi, ma a me la cosa dà da pensare. E non poco.



* A voler essere pignoli, in Grecia il ruolo di psicopompo ce lo aveva anche il dio Ermes, che però non era specificamente una divinità della morte e quindi esula dal mio argomento 

** A questo proposito, se vi va, date un occhio a Indagine sull'orco di Tommaso Braccini, che ne vale la pena